Mettere piede in Portogallo, ogni volta che faccio ritorno, ha da sempre significato un momento di grande riflessione, che spesso mi aiuta a conoscere qualcosa in più sulla mia persona: aspettative, desideri, emozioni, paure, un caleidoscopio di stati d’animo tutto da esplorare.
L’esplorazione è ricaduta, questa volta, sulla Costa Vicentina, una delle estremità più occidentali dell’Europa, un luogo dove facilmente può installarsi quella sensazione del “qui-finisce-tutto”. L’ignoto e l’incomprensibile iniziano a prendere il sopravvento, non appena la terra sotto i piedi ha fine ed il mare si distende nell’infinito. Un fascino questo, che investe tutti gli uomini, di tutti luoghi e tempi, fortunati ad aver calcato, anche solo di passaggio, questa terra così, all’apparenza, lontana.
E’ qui che ritroviamo “O Trilho dos Pescadores” (Cammino dei pescatori) o “A Rota Vicentina”, un antico percorso che collega i principali piccoli villaggi che si susseguono lungo la costa, trafficata da viandanti e viaggiatori che in silenzio sono avvolti dall’unico suono udibile da queste parti. L’Oceano.
E’ qui che il movimento perpetuo delle onde, le spiagge sconfinate, le grandi falesie provocano continuamente un senso di perdita dell’orientamento. Si resta sopraffatti e inermi di fronte a tale vastità degli spazi.
Dalle queste scogliere così ripide, il rischio di perdere ogni tipo di equilibrio è immenso. Nonostante le vertigini, la voglia di sporgersi diventa incontrollabile: l’infinito è lì davanti, toccarlo con la punta delle dita sarà uno scherzo.
Poi, Il soffio del vento, impetuoso e travolgente, avvolge ogni cosa che investe: sassi, sabbia, alberi, barche, case ed esseri viventi.
Quel soffio continuo spinge l’acqua sempre più avanti e la costa non può far altro che indietreggiare, come se questa avesse timore di ferirsi.
Allo stesso modo, uomini e animali di queste zone si arroccano nei loro paesini bianchi e blu per difendersi dal minaccioso suono delle acque.
Immagino pensino che l’Europa sia solo una eco così distante, non appartenente a questi limiti geografici. Lo si capisce dagli sguardi degli anziani, umili testimoni di storie che non possono che provenire da terre ubicate oltre l’orizzonte del mare.
Trovo una panchina di pietra da cui poter osservare l’orizzonte. Invece di fissarlo, chiudo gli occhi. Respiro.
Con gli occhi chiusi ascolto il rumore di fondo dei cavalloni che si infrangono sulla scogliera. Tutto si calma e si sintonizza allo spettacolo di quella forza naturale. Si è inermi, ma, senza paura, si rimane li fissi a guardare senza indietreggiare, aspettando la prossima onda.
Si attende che sia più spettacolare della precedente e io avrei voluto essere l’unico testimone di quella rappresentazione mai più ripetibile.
Ma quella forza delle onde, così esplosiva, consente di arrivare ad una chiara e netta consapevolezza: un’esistenza passeggera e ancorata al solo presente, quando ci si perde al cospetto dell’eternità dell’Oceano.